L’estate, nell’immaginario adolescenziale di chi quell’età l’ha passata già da un po’, ha sempre identificato una fase dell’anno, della giovinezza e della vita in cui tutto è leggero, bello, possibile. Dove passioni e storie d’amore nascono sul bagnasciuga, sviluppando emozioni indimenticabili, concludendosi al termine delle vacanze, quando si scopre che il fuoco era fatuo e nulla più.
Negli ultimi decenni, il rapporto tra calcio e suo fruitore, nello sviluppo dei vari aspetti sociologici della relazione, si è trasformato alla stessa maniera. È evidente come in questo sport sia terminata la bella stagione, lasciando ferite profonde, indizi lampanti di come si sia persa l’innocenza in molteplici aspetti dell’intero sistema.
Ciò che si vuole analizzare non sono gli elementi che caratterizzano questa trasformazione, evidente e che bisogna semplicemente accettare come un dato di fatto. Bensì la reiterata idiosincrasia che grandissima parte degli appassionati hanno rispetto a determinate dinamiche, oramai prassi di quello che da sport sta acquisendo sempre più i connotati di spettacolo. Dove il termine tifoso si sta tramutando in quello di cliente, utente e appunto fruitore di un servizio d’intrattenimento.
Nelle ultime settimane tre grandi personaggi della contemporanea italica pedata sono stati al centro di grosse polemiche e disquisizioni da parte dell’opinione pubblica. Nonostante siano stati tutti protagonisti dell’ultima entusiasmante vittoria del titolo europeo della Nazionale (Euro2020 nel giugno 2021 a Wembley in finale contro l’Inghilterra, ndr) Gianluigi Donnarumma, Leonardo Bonucci e Roberto Mancini sono passati, ognuno a proprio modo, sotto le forche caudine di una nazione di allenatori, esperti e saccenti, sempre pronti a giudicare ma che mal sopportano l’essere giudicati. Sempre pronti a dare la propria visione delle cose, più per ricerca dell’applauso, della condivisione e del consenso che, piuttosto, di un confronto lucido e ragionato che preveda il rischio di mettere sul tavolo valutazioni impopolari.

Senza riesumare tutte le fasi della questione Donnarumma, l’episodio di San Siro, nell’ultima vittoriosa uscita degli azzurri contro l’Ucraina, segna un nuovo record nella “NoCulture” sportiva nazionale. C’è poco da fare, siamo un popolo che idolatra a proprio uso e consumo chi riesce a trasmettere emozioni che ci sollevano dall’ansia e dagli insuccessi personali. Lo sport è terreno fertilissimo su cui far nascere figure simili che, seppur con incredibili benefici materiali, sono innanzitutto persone con, come tutti, un loro modo di ragionare e di fare valutazioni della propria vita personale. Non ricordiamo mai, o probabilmente non abbiamo mai veramente capito il senso del termine, che sono dei professionisti. Professionisti in un settore clamorosamente anomalo che, più di qualsiasi altro settore lavorativo, si basa oggi su lucro, denaro e mille altre variabili economiche. Il mondo in cui viviamo non si regge, purtroppo, sulle buone intenzioni, le belle parole e gli ideali più assoluti. Questi devono essere certo i capisaldi della personale e più intima etica, unico baluardo per sopravvivere in un’epoca storica arida come l’attuale, ma tutto intorno le cose girano in ben altra maniera.

La diatriba tra Leonardo Bonucci e la Juventus ha preso, con il passare delle settimane, i contorni di un valzer di ripicche tra le parti, dove il giocatore ha equivocato, chissà quanto candidamente, sul suo reale peso decisionale nel rapporto con la società. Le tensioni di fine carriera che giocatori storici, o bandiere di un club, hanno con allenatori e dirigenza sono trame di film già visti. Ricordare gli esempi di bandiere come Totti e Del Piero, ai tempi di Spalletti per il primo e Capello e Conte per il secondo, o il caso di Filippo Inzaghi con Allegri, è pura accademia. Come tutti ben sappiamo, fosse stata data loro l’opportunità di proseguire la carriera agonistica l’avrebbero fatto. Le scelte del datore di lavoro sono state diverse e a quel punto, chi con più stile, chi con più ironia, chi voltando rapidamente pagina, tutti se ne sono fatti una ragione. Nella propria carriera sportiva Bonucci ha abusato in atteggiamenti e umori non consoni a chi ha raggiunto, con i numeri in campo, la top ten all time per presenze con la Juventus. Le ultime dichiarazioni del viterbese stonano con il contesto della situazione, ma stranamente appaiono in sintonia con il personaggio. Non facciamo passare per martire chi martire non è ma forse vuole così essere visto. Non paragoniamo la sua vicenda legale a quella che fu di Jean-Marc Bosman. Al tempo (1995, ndr) il mondo del calcio era profondamente diverso e forse proprio da quel momento l’inerzia creata come effetto della storica sentenza fece sterzare il sistema calcio verso la direzione attuale.

L’addio alla panchina azzurra da parte del ct Roberto Mancini ha avuto una risonanza mondiale amplificata dalle tempistiche delle dimissioni, dall’identità della nuova destinazione e ovviamente dalle cifre dell’affare. Abbiamo assistito ad una campagna mediatica denigratoria eccessiva nei confronti dell’ex fantasista doriano, trattato da vero e proprio profanatore del tempio. Con mentalità radicalmente provinciale si continua a non capire che oggi lo sport, di altissimo livello, offre occasioni realisticamente irrinunciabili. Nel caso di Mancini, la personalità, l’esperienza e l’umano orgoglio del singolo professionista, non nuovo a scelte controcorrente, completano un quadro dove il discutibile intervento del presidente federale Gravina, sulla riorganizzazione dello staff tecnico del mister di Jesi, ha avuto comunque il suo ruolo, e non secondario.
In tutto ciò il tifoso medio italiano si è sentito alla stregua di un’amante tradito. Sia ben chiaro, lo stesso tifoso che quando c’è la sosta della Nazionale è listato a lutto perché il campionato è fermo o insoddisfatto storce il naso quando legge le convocazioni azzurre a qualsiasi competizione internazionale. Senza dimenticare come lo stesso tifoso sia pronto a sputare veleno e ingiurie verso questo o quel giocatore, quando gioca nel club da avversario contro la squadra del cuore, ma guai per lui quando difende i colori dell’Italia. Lasciamo poi da parte, perché meriterebbe un’analisi specifica, l’enorme problema, tenuto sottotraccia in maniera bigotta e ipocrita dall’opinione pubblica, anche sportiva, dell’incapacità di accettare una Nazionale multietnica, frutto di quella che vorremmo fosse invece una società civile, moderna e aperta al futuro.
Futuro che arriva, non lo fermi ma soprattutto non ti aspetta.
fonte foto copertina: Twitter @90sFootballUK1