Era il 2016,
Io e l’amico Pelé eravamo a Londra, seduti su una panca di legno, mentre osservavamo dei ragazzi giocare al calcio in un vecchio campo di periferia;
Pelé mi raccontava di come quel calcio stesse lentamente scomparendo, di come la UEFA e la Fifa di lì a qualche anno avrebbe permesso che 6500 persone perdessero la vita in condizioni lavorative da schiavi per costruire 7 stadi e infrastrutture annesse per permettere di disputare un mondiale in Qatar, a dicembre, solo per interessi economici delle federazioni organizzatrici e degli sceicchi che tanto hanno investito per far impennare la crescita d’immagine del loro paese utilizzando come mezzo il calcio, che dovrebbe essere di tutti, ma ormai è di pochi.
Era anche di quei 6500 operai lasciati in condizione disumane a lavorare e produrre per il padrone, a chi vuoi che importi, mi ha detto con astio e con gli occhi tristi, che quelle persone siano morte, l’importante è che la partita si giochi e i milioni vengano accreditati sui conti in chissà quale paradiso fiscale.
Pelé il primo mondiale l’ha giocato a 17 anni nel giugno del ‘58, in Svezia, e la sua prima partita l’ha giocata contro l’URSS;
Quel mondiale poi l’ha vinto, segnando prima col Galles ai quarti, poi tripletta in semifinale e doppietta in finale con la squadra di casa giusto per non farsi mancare nulla, roba che se succedesse oggi, gli agenti del giovane talento brasiliano avrebbero preteso il rinnovo a 20 milioni l’anno e clausola rescissoria a 222 milioni.
Mi ha parlato come di lì a qualche anno calciatori e allenatori avrebbero guadagnato cifre spropositate facendo perdere ogni senso di appartenenza del club per cui lavorano, lasciando ogni ideale di amore fuori dal mondo di questo meraviglioso sport, rifacendosi al “dio denaro” gestito da chi dice di fare gli “interessi dei loro assistiti”, i cosiddetti agenti, Pelé mi racconterà che nel 2020 solo in Italia sono stati spesi complessivamente tra tutti i club, quasi 100 milioni di euro per commissioni verso questi agenti.
100 milioni, solo in un anno, solo in Italia.
Eppure mi ha raccontato che dopo di quel mondiale anche a lui sono state recapitate offerte importanti mentre militava nel Santos, addirittura Angelo Moratti riuscì a stipulare un accordo firmato, che in seguito però verrà stracciato a causa di un aggressione dell’allora presidente del Santos, e dopo 3 anni “La perla nera”, venne dichiarata dal governo brasiliano, TESORO NAZIONALE.
“Erano altri tempi… – mi dice – ma oggi stiamo per arrivare al capolinea, la bolla sta per scoppiare!”
E infatti poi mi racconta di quello che succederà poco dopo quel 2020, dopo che il pianeta è stato colpito da un incredibile pandemia che ha riversato il mondo nell’oscurità, il calcio è continuato ad andare avanti, senza i tifosi, con gli stadi vuoti e il silenzio abissale che li ha circondati per un intero anno.
I tifosi, che dovrebbero essere l’unica ragione per cui questo sport dovrebbe avere ragione di esistere, estromessi dal vivere quelle emozioni e dalla loro passione.
In quel 2021 i presidenti più facoltosi dei club europei diranno che non possono andare avanti così, non ce la fanno più a sostenere tutti questi costi senza entrate.
Per evitare il fallimento e risistemare i loro bilanci in netta perdita, cosa decidono di fare?
Creano una competizione privata e si autoproclamano “Élite del calcio”, definendosi il bello di questo sport come se tutti gli altri non fossero degni di partecipare al loro giocattolo completando l’opera portata avanti da anni dai loro predecessori che con il denaro e la corruzione hanno accoltellato centinaia di volte questo meraviglioso gioco.
Io e Pelé un po’ rattristati ci incamminiamo verso casa mentre i ragazzi continuano a giocare mentre il sole sta per calare, e in quel momento ritroviamo una piccola luce, e pensiamo che se in fondo quei ragazzi sono ancora lì a giocare senza pensare alle Superleghe, ai miliardi delle banche, ai fondi di investitori che usano il calcio come mezzo per far crescere le loro azioni in borsa, in fondo, il calcio sarà sempre di tutti e mai il loro.
Stefano Petrillo