Chi oggi ha meno di sessant’anni non ha vissuto direttamente Gigi Riva. Averlo scoperto in seguito, grazie ai filmati di repertorio, non rende l’idea. Essere contemporanei delle sue gesta sportive offre invece pieno diritto di spiegare la sua dimensione, andata ben oltre il rettangolo di gioco. Con i soli numeri della carriera, unica in ogni caso, diventa difficile comprendere il reale contributo offerto al calcio da questo lombardo spigoloso, taciturno e tremendamente orgoglioso. Fu ragazzo che dovette crescere velocemente. La vita lo spinse verso terre austere, lontane sia fisicamente che spiritualmente da quanto denominato “continente”.g
La personalità di Riva verrà forgiata dal vento, l’umore conservato dal sale marino, il cuore scaldato da un sole che non si dimentica e da cui Gigi non vorrà più separarsi. La Sardegna fu da subito il guanto perfettamente calzante per la sua anima, dimostrandosi luogo molto fertile per la maturazione dell’uomo Luigi e del calciatore Riva.
Il legame con quella terra divenne marchio distintivo di una vita in perenne contrasto con quanto di accessibile c’era altrove. L’isola era, all’inizio degli anni sessanta, una delle zone d’Italia più arretrate socialmente e povere economicamente.
Il vero colpo di fulmine Riva lo ebbe con i sardi. Non tanto nel rapporto con i tifosi: rimasti sempre devoti, entusiasti ma mai ingombranti. Quanto invece nell’accezione di popolo: fedele e silente custode dei mille pensieri e delle rarissime confidenze di quest’uomo riservato che, in cambio, gli donerà anima e corpo, per entrare assieme nella storia del calcio italiano. Luigi Riva da Leggiuno, provincia di Varese. Profilo greco, voce alla Gian Maria Volonte’, zigomi severi, fisico aitante. Sorriso più che raro ma onesto, tipico di chi si diverte con le emozioni semplici della vita.
“Giggirrivva”
Uomo con mente pensante, sentimenti cresciuti grazie a Luigi Tenco nel cuore e Fabrizio De Andre’ nelle vene. Tutte le immagini recuperabili nell’archivio fotografico della sua vita pubblica hanno un elemento comune, se si osservano attentamente. La profondità dello sguardo, coperto sempre da un impercettibile velo di malinconia, espressione di una stanchezza di spirito. Come di chi era appena uscito dal turno in fabbrica, ma non si lamentava. Mai. Non si arrendeva alle difficoltà di ogni giorno e resisteva. Sempre. Per senso di responsabilità.
Anche per questo dettaglio, la scomparsa del miglior cannoniere azzurro di tutti i tempi ha provocato occhi lucidi in tante persone, soprattutto di una certa età. Portando la commozione ad un livello superiore, anche tra gli addetti ai lavori. Per i ragazzini appassionati di calcio, nati all’alba del boom economico italiano (fine anni ‘50 , ndr) era “IL” Calciatore. L’Attaccante che faceva gol mai banali non avendo mai paura di niente. Quello che tirava così forte che tu, per imitarlo, correvi in cortile e, calciando il pallone, cercavi di far tremare più possibile il portone di casa.
Da calciatore fu simbolo di un’epoca lontanissima da quella attuale, con valori tecnici ed etici non paragonabili a quelli del calcio e della società d’oggi. Le sue imprese riempivano le colonne dei rotocalchi sportivi tanto quanto quelle dei campioni degli squadroni metropolitani. Solo lui, però, riuscirà a vincere con i quattro mori sul petto. Dettaglio da considerare come coefficiente di difficoltà moltiplicante.
La sua personalità si distingueva marcatamente da quella dei suoi colleghi. Primi pionieri del cambiamento nella figura del calciatore, trasformatosi culturalmente dall’essere inneggiato al divenire idolatrato. Non si è in errore dicendo che fosse umoralmente più simile al totem Dino Zoff rispetto al mondano Gianni Rivera. Una cena con Manlio Scopigno, l’allenatore del tricolore cagliaritano, vero alieno rispetto al mondo del calcio, pasteggiando a sigarette e filosofia. Riva l’avrebbe sempre preferita rispetto ad una sera a parlare solamente di calcio con il mago Helenio Herrera.
Le qualità tecniche del giocatore hanno incastonato Riva tra i più grandi di sempre del ruolo. Non ha senso fare confronti con altri attaccanti appartenenti ad epoche diverse dalla sua. I filmati che testimoniano le sue gesta sono un archivio notevole ma molto lontano dalla memoria a colori. Oggi l’unico strumento per intercettare la curiosità dei più giovani, invogliandoli a scoprire i campioni che furono gli eroi dei loro padri o dei loro nonni, è quello di creare delle istantanee di un’epoca, un effetto ralenti del gol e del gesto tecnico, attorno a cui creare un’epica accattivante da raccontare.
La vita di Riva ha offerto molto di più, lui è andato oltre. Se nel corso degli anni siano state innumerevoli le campagne per eleggere il suo erede, queste si sono sempre fermate al perimetro di gioco. L’uomo è sempre stato irraggiungibile. Anche per questo non è una coincidenza che sia diventato il miglior marcatore della Nazionale. In più nel suo caso, lo si rimane ancora, da cinquant’anni a questa parte, solo se si è stati capace di vivere la maglia dell’Italia come una seconda pelle.
Per lui l’azzurro è sempre stato il colore della disciplina. Un colore per cui ha sacrificato entrambe le gambe, senza tirarsi mai indietro. Le cose non sono cambiate neanche da dirigente, quando ebbe l’opportunità, per molti anni, di donare la sua enorme esperienza di campo. Ogni volta al fianco dei giovani campioni, pronto a supportare, ad ascoltare, a consigliare, a chiarire loro i dubbi su cosa significasse far parte della Nazionale. Esempio vivente di come poche parole e comportamenti di spessore rappresentino insegnamenti da non disperdere. Riva non ha mai avuto nostalgia della propria storia, distinguendosi così anche quando ha deciso di togliere il disturbo.
La sua famosa discesa dal pullman dei festeggiamenti al Circo Massimo dopo il mondiale 2006. Quando politicanti vari salirono, anche fisicamente, sul carrozzone dei vincitori, dopo averli criticati aspramente fin dal ritiro. Lui prese, scese, sparì tra la folla, allontanandosi in taxi, non volendo più avere a che fare con un sistema che non sopportava più. Rimase di parola.
Viene da pensare che anche nel suo ultimo giorno abbia sentito qualcosa di simile. Quello che doveva, poteva e voleva dare a questa vita era stato fatto. Non c’era altro per cui attendere. Il momento di scendere era arrivato. Per l’ultima volta.
fonte immagine copertina: Twitter @theleaguemag