Lettera d’accusa alla mia squadra del cuore – Terza puntata
La lettura del roster bianconero di quest’ultima stagione ha portato, l’estate scorsa, tanti addetti ai lavori e gran parte dei tifosi a pensare che la squadra di Allegri fosse completa e competitiva. Nomi importanti, ritorni di lusso e campioni affermati alla loro “last dance”. Fermarsi all’apparenza delle “figurine” è stato forse l’errore principale in cui tanti sono incorsi. Una stagione come quella appena conclusa, così arida di valori tecnici, presenta tanti, troppi elementi strutturali che si sono rivelati non adeguati. La difesa attende, già con un paio d’anni di ritardo, la rifondazione post BBC (Bonucci, Barzagli, Chiellini, ndr).
Ciò anche in questa stagione non è avvenuto, e il cambio della guardia tra De Ligt e Bremer è sembrato piuttosto un ridimensionamento. La vendita del centrale olandese può apparire ai più un grande affare. Non sono d’accordo per vari motivi: è andato al Bayern Monaco e i tedeschi non sono tipi da subire un prezzo di mercato. Hanno speso certe cifre sapendo che il suo valore sarebbe stato maggiore se le stagioni a Torino fossero state arricchite da trofei internazionali. I margini di miglioramento del ragazzo sono ancora ampi e nulla vieta di pensare che in Baviera riusciranno a monetizzarli. La scelta della Juve di cedere uno tra i venti difensori più forti d’Europa è stato un piccolo segnale di come ci si stia allontanando da una visione competitiva internazionale. Se te la vuoi “giocare” con le grandi d’Europa non lo vendi.
Troppa fiducia sul brasiliano arrivato dal Torino. Urbano Cairo si è fatto pagare bene per cedere Bremer. Per ora l’affare l’ha fatto lui, soprattutto se si ascolta radio mercato che vede anche questo difensore bianconero tra le prossime possibili cessioni. Giocatore con grandi potenzialità che ha però mostrato colpi a vuoto non marginali durante il campionato. Lo zero nel curriculum alla voce presenze in campo internazionale con club è un dato forse troppo trascurato al suo arrivo. Su Pogba e Di Maria si è sprecato un oceano d’inchiostro. Le loro vicissitudini sono state decisive per lo sviluppo dell’annata disgraziata della Juve. La libertà lasciata al francese nella gestione del recupero dall’infortunio dell’estate scorsa dimostra come non ci sia stato polso a Torino nel tutelare i propri interessi nei confronti di un tesserato. Riabilitazione senza operazione, ricaduta, rinuncia al Mondiale, recupero molto lento e nuova ricaduta. I dubbi fisici sul “Polpo” c’erano già osservando le sue stagioni successive al suo primo addio all’Italia e le prospettive per il prossimo anno abbondano di incognite.
La logica dell’arrivo del Fideo in bianconero sinceramente non è parsa chiara da subito. Serviva davvero alla Juve? Un nome importante come quello di Angel Di Maria crea indubbiamente entusiasmo, con la possibilità per i tifosi di pregustarsi un giocatore con qualità tecniche superiori. Non ci fosse stato il Mondiale l’inverno scorso l’argentino non sarebbe venuto a Torino, ma avrebbe fatto ritorno a Rosario per concludere in patria la straordinaria carriera. Lasciando Parigi, la soluzione piemontese è apparsa quella più congeniale per cercare di tarare la preparazione fisica per l’avventura qatariota. Il livello del campionato sarebbe stato facile da gestire per un giocatore del suo talento mantenendo però una soglia accettabile di competitività. Ciò che mi sento di criticare alla dirigenza juventina è aver fatto una scelta senza prospettiva. Era chiaro che la clausola d’opzione per il secondo anno non sarebbe stata fatta valere nel suo contratto, nonostante le belle dichiarazioni dell’argentino in fase di presentazione. Di Maria è arrivato alla Juve dopo un lungo e oneroso corteggiamento estivo. Le sue parole, grate per la tanta attenzione nei suoi confronti, possono far pensare ai più cattivi, io mi metto fra loro, che probabilmente squadre più blasonate non avrebbero avuto la pazienza di attendere la sua scelta per così tanto tempo. Avrebbero virato su altri profili. Tradotto: la Juve ha ceduto per prima, puntando al nome, seguendo un’idea di “instant team” dimostratasi poi fallimentare.
Ci sono poi dei “se” e dei “ma” che avrebbero permesso di raccontare una storia diversa. In tal senso è giusto considerare come Chiesa (recupero da infortunio al crociato, ndr) e Vlahovic (pubalgia, ndr) integri fisicamente non si sono mai visti quest’anno. Nella prossima stagione non avranno margini d’errore, non saranno concesse prove d’appello ad entrambi. Qualcosa di buono dalla rosa è comunque uscito. Oltra alla già citata ottima gettata di giovani, da Fagioli a Miretti, passando per Illing Junior, c’è sicuramente la leadership caratteriale di Danilo e quella tecnica, aumentata a dismisura, di Adrien Rabiot. Il brasiliano e il francese sono risaltati notevolmente rispetto alla media generale. In una squadra ricca di campioni loro sarebbero eccellenti gregari, giocatori importanti ma non i nomi fondamentali su cui certificare la competitività della squadra.
Il transalpino è fresco di rinnovo di contratto. Anche in quest’occasione il potere contrattuale della Juve non è stato rilevante. Non dimentichiamoci come già dall’anno scorso la mamma manager di Rabiot abbia dettato tempi, prezzi e condizioni perché il figliuolo accettasse la permanenza a Torino, non ultimo, fino a qualche giorno fa, l’attesa di qualche offerta dalla Premier alla fine mai giunta.
fonte foto copertina: Twitter @titti97370553