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Una racchetta contro l’Apartheid e lo stigma

Arthur Ashe

fonte foto: Twitter @ArthurAshe_

Arthur Ashe è stato il primo tennista nero a vincere un grande slam nel singolo. In totale può vantare tre slam, US Open, nel 1968, Australian Open del 1970 e Wimbledon nel 1975.

Potrebbero bastare questi grandi risultati per decretarlo uno degli sportivi più importanti del XX secolo. Ma la grandezza di Ashe è stata sopratutto nel saper sfruttare la sua fama internazionale per combattere il razzismo. A tal proposito, dopo che nel 1968 il governo sudafricano lo escluse dal torneo Open di Johannesburg, decise di intraprendere una campagna di denuncia nei confronti dell’Apartheid. Chiese ufficialmente l’esclusione della federazione sudafricana dal circuito tennistico professionale. Quando nel 1990 Nelson Mandela fu scarcerato, chiese di poter incontrare proprio Arthur Ashe.

Nel 1988, a causa di una trasfusione di sangue durante un intervento chirurgico, contrasse il virus HIV. L’8 aprile 1992, in un’intervista su Usa Today dichiarò la sua sieropositività. Pochi mesi dopo fondò la Arthur Ashe ‘Institute for Urban Health’ per aiutare le persone, con un’assistenza medica insufficiente, a curarsi.

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Morì il 6 febbraio 1993 per il sopraggiungere di AIDS. L’importanza della testimonianza di Arthur Ashe è nell’ aver fatto aprire gli occhi, se non a tutti a molti, che HIV riguardava tutti e che nessun governo poteva ormai girarsi dall’altra parte ignorando il problema.

Grazie al progresso scientifico sappiamo che AIDS è causato dal virus HIV, che aggredendo il sistema immunitario lo rende incapace di difendersi dalle infezioni. Grazie all’uso di farmaci antiretrovirali si può controllare il virus avendo la certezza di non trasmetterlo ai propri partner sessuali e quindi di avere una vita sessuale e affettiva, come dimostra anche la storia di Greg Louganis.

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